martedì 10 luglio 2012

Liberté, egalité, inutilité

Avete mai riflettuto sull'inutilità delle cose che a volte diciamo?

Per esempio, vedi la tua amica dai lunghi riccioli d'oro improvvisamente rasata come un punk e le chiedi "Ma hai tagliato i capelli?". Oppure vedi il tuo amico per terra con le ginocchia sbucciate e il sangue che esce dal naso e gli dici "Ma sei caduto?". Cose senza senso. Lo so, lo so, si chiamano domande retoriche. Ma le domande retoriche sono davvero necessarie? Ops, anche questa è una domanda retorica. Niente, mi sono cacciata in un cul de sac. 


Altre cose inutili che diciamo sono quelle che non vorremmo dire. Tipo "possiamo essere amici" di fronte alla persona con cui vorremmo sposarci e avere tre bambini, o "va bene così" di fronte a un lavoro di merda sottopagato o "basta sono sazia" di fronte ad una Sacher con cui vorremmo strangolarci.


Ci sono le parole sprecate. Un "ti voglio bene" alla persona che da lì a un secondo ci farà più male di una randellata sui denti, un "grazie" a qualcuno che sta facendo un gesto carino per poi rinfacciarlo ad vitam aeternam, un "salutami Tizio" (i saluti non arrivano mai, si sa).


Lo so che sono logorroica e una predica così da una come me non ve l'aspettavate, ma io la mia prima parola l'ho detta a tre anni compiuti e ho del tempo perduto da recuperare. Quindi ho il diritto inalienabile di dire quante cazzate mi pare. 


Ma la cosa più stupida dell'universo è invece non dire quello che è davvero necessario. 


"Fai cagare, stavi meglio prima" all'amica che si è rasata. "Cazzo, vado a prendere l'acqua ossigenata" all'amico che è caduto. "Ti amo" alla persona giusta. "Non prendo due lauree per farmi sfruttare" al nostro datore di lavoro. "Ancora, ancora, di più, di più" alla Sacher. "Buttati da un ponte" agli amici infedeli. "Fottiti" a chi non fa mai niente per niente. "Se ti capita di vedere Tizio digli che mi sta in culo tantissimo".

Nonostante l'incontinenza verbale che mi caratterizza, tante sono le cose che non dico. Manca il coraggio. La paura che quella roba lì che hai da dire esca dalla tua bocca incartata da emozioni positive o negative che si sono così amplificate nel tempo e nello spazio (quello tuo, dentro, che certe volte è gigante) che alla fine assume un significato diversissimo da quello che vuoi esprimere. La paura di vedere nell'altro una faccia diversa da quella che ci siamo immaginati. Paura di sprecare, di offendere, di perdere qualcosa o qualcuno con un parola. Il problema è la stima di sè, il non sentirsi in diritto di chiedere, esplicitare, rendere chiare le cose.

E così che nascono quelle situazioni ambigue e offuscate da cui poi non riesco mai a togliermi.
Ho trovato il problema e adesso sono in cerca di una soluzione.







1 commento:

  1. Mi sei simpatica! la penso come te su tante cose...ormai mi definisco un'inguaribile scorbutica

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