lunedì 2 luglio 2012

Basta un giorno così a cancellare centoventi giorni stronzi


Così cantava Max Pezzali, ormai sedici anni or sono (ammazza quanto me sento vecchia!), accompagnato dal buon Repetto, che tra parentesi chissà che fine ha fatto. Citando gli 883 darò forse l'impressione di essere una persona ormai alla frutta, ma questa frase l'ho pensata molte volte questo weekend. Sono partita carica di "lasciami stare" e tornata con un sorriso a trentadue denti. 

Come compagni di viaggio avevo un'amica storica, con cui ho condiviso gioie e dolori universitari, il suo fidanzato, maestro e musicista jazz e un amico di lui, artista di strada. Il viaggio per raggiungere i ragazzi, che erano già a Sanremo da tutta la settimana, per portare in giro il loro spettacolo musicale, è stato divertente. Entrambe social worker, infatti, io e la mia amica abbiamo la tendenza ad attirare a noi personaggi improbabili e in tre ore di treno non avete idea di quanti se ne incontrino. Da quello che parla da solo a voce alta alla tipa che ti chiede l'ora una volta al minuto, a quelli che ti piantano una trombetta da stadio in un orecchio, al brasiliano e la genovese che parlano tra di loro come se nulla fosse, e tu scopri con sorpresa che il dialetto genovese e il portoghese sono esattamente la stessa cosa. 

Quando siamo arrivate e abbiamo raggiunto i ragazzi, anche loro avevano già raccattato due tipi originali, forse perchè, essendo compagni di social worker, di riflesso hanno la stessa calamita per il disagio. Così, a mezzanotte, ci ritroviamo a bere birra con un senegalese suonatore di bongo con cui poco prima era stata improvvisata una jam session e un sanremasco doc (io ero convinta si dicesse sanremesi) , che lavora pure al Casinò, che passa con nonchalance dal raccontare storie di ricconi che giocano alla roulette all'esprimere le proprie opinioni su quanto è sbagliata l'economia monetaria. Un rugacoglioni come pochi. Dopo il battutone del senegalese, che va in bagno e al ritorno dice "Buh, è arrivato l'uomo nero!" ci alziamo e torniamo a casa.

Una bottiglia di bianco, un terrazzo con l'aria fresca e salata che arriva dal mare, e rimango incantata ad ascoltare le storie di chi ha scelto di fare della strada la propria casa, del mondo la propria vita. Sarà che   nella mia testa non c'è mai stato un confine, ma poi ho finito con il fare scelte di vita parecchio conservatrici, forse per paura, forse per convenzione, forse per non deludere la famiglia, ma quando sento storie del genere mi sento più felice e più ricca. In un attimo capisci che non importa da dove vieni, dove vai, cosa fai: c'è sempre qualcosa in comune con gli altri, lo trovi per forza. La vera condivisone delle esperienze è una delle cose più magiche che l'uomo sappia fare.

Il relax totale e la gioia che solo il contatto con il mare sa darti. Il sole, il vento, la sabbia, l'acqua. Cose che ti fanno più bella e tu non sai nemmeno come. Le confidenze con un'amica e le passeggiate che non finiscono più. Il melting pot di gente che è lì per fare la stessa cosa, che non ti sembra nemmeno vero. 

E alla sera la musica, in strada, e a vedere la gente che si ferma senti dentro la magia di un linguaggio davvero universale. Dal bambino piccolissimo che non vuole più andarsene, alla vecchia che balla da sola, con gli occhi chiusi, l'aria sognante e una rosa tra le mani, a chi lancia una moneta sprezzante, ma poi torna indietro e si lascia coinvolgere. La voglia di ballare che ti sale dai piedi al cervello in un attimo, le mani che friggono dalla voglia di battere su qualsiasi cosa, in testa nemmeno un pensiero.

Poi ditemi voi se Max Pezzali non aveva ragione. 
















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