mercoledì 29 agosto 2012

Volemosebbbbene

Vi ho fatto attendere un po' questa volta. Dopo avervi vomitato addosso la mia vita (per la morte e i miracoli mi sto attrezzando), ho avuto un po' la percezione di avervi detto tutto.

E' un periodo molto tranquillo e sereno, incredibilmente senza tormenti particolari. Ho messo a posto un po' di cose della vita che volevo mettere a posto, è arrivata almeno una delle cose che aspettavo da tempo e incredibile ma vero, ho capito che per vivere bene bisogna fare delle cose per sè, prendersi cura, amarsi un po' (è come bere, più facile che respirare. Battisti docet). 

Anzi, forse amarsi un po' è proprio la chiave di tutto. Siccome sono un po' la reginetta dell'auto-mutuo-aiuto, mi piacerebbe condividere con voi alcune illuminazioni che mi sono giunte nell'ultimo periodo e che hanno contribuito dapprima alla mia presa di coscienza, ed in seguito al cambiamento. Perchè il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza. E questa è la prima illuminazione. Dunque: 

  1. Il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza: quindi, qualunque cosa desideriamo fare, dobbiamo prima renderci conto di come stanno le cose. Io, per esempio, una cosa che voglio tanto fare è dimagrire. Bene. Fin qui tutto chiaro. Però mi rendo conto che non sono in grado di resistere a un dolcetto dopo cena. Ecco,questo è il mio limite. Cosa faccio per superarlo? Lo condivido. Inutile fare finta di niente, dire "No, figurati e che me ne frega a me del dolcetto?". No, lo dico. Dico alla dietista "Amica, tu sei alta e magra come una pertica,  hai il metabolismo a 2000 watt, probabilmente prendi anche dei lassativi altrimenti non si spiega quella pancia piatta, e poi sono certa che bruchi un po' d'erba e sei già sazia, ma io no. Io ho FAME. E voglio un dolcetto." E la dietista mi accorda un pacchetto di Pavesini quando ho voglia di dolcetto. Facilissimo, no? Ecco, io una cosa che ho capito è che "vergognarsi" dei propri limiti è una cagata pazzesca. Bisogna vederli e farli vedere anche agli altri. Che tanto anche loro ne hanno, oh, se ne hanno! 
  2. Non avere paura: la seconda regola è non essere spaventati dalla vita. Qualunque religione abbiate abbracciato nella vostra vita, o quand'anche foste atei come sassi, avrete certamente capito che l'uomo passa la propria esistenza a tormentarsi e può eventualmente aspirare al proprio miglioramento. Quindi, quando vi sentite delle caccole, frenati dai vostri dubbi, afflitti dalle vostre insicurezze, oppressi dal senso di colpa, vessati dal timore, sappiate solo che è NORMALE. Tutti abbiamo i limiti, tutti ci facciamo i segoni (mentali e non), tutti siamo umani. Io ho sempre avuto una paura folle di tutto: di dire qualcosa a qualcuno, di fare cose, di vedere gente. E sapete qual'è il problema? L'autostima. Eh sì, è la bassa autostima che ci frega. Perchè non ci sentiamo in diritto. E invece, siamo al mondo? E allora è nostro diritto vivere, dire, fare, baciare, lettera e testamento. Così bisogna solo trovare un briciolino di coraggio e aprirsi al mondo. E' tutto qui. 
  3. Fidarsi dei propri sentimenti: lo so, sto diventando peggio di Osho, ma ve l'ho detto, mi sento illuminata. E in questo caso la folgorazione, senza nemmeno dover infilare le dita bagnate nella presa della corrente, mi è arrivata dalla mia amica Manuela, che un giorno mi ha detto: "Finchè tu parli di quello che provi, quello che senti col cuore e con la pancia, nessuno potra mai venirti a dire che sbagli, perchè dentro di te ci sei solo tu". Avete presente che razza di cambio di prospettive può darvi questa cosa? Cioè, se parlo di quello che sento, dell'immateriale, delle sensazioni, nessuno può contraddirmi. E' qualcosa di meraviglioso. E allora l'ho fatto. Ho fatto quello che finora non avevo mai fatto perchè pensavo di prendermi delle padellate in faccia. Ho detto i "sento di volerti bene" che dovevo dire, i "sento di amarti" che dovevo dire, i "sento che così non funziona" che volevo dire. Il tutto senza un minimo di senso di colpa o indecisione. Perchè nessuno può venirmi a dire che non è vero, e anche un po' perchè io valgo. E non solo perchè uso lo shampoo L'Oreal, ma perchè davvero non ho nulla di meno di qualunque altro abitante di questo pianeta. Sul fatto che dentro di me ci sono solo io, beh, è vero. Ma siccome sono convinta che la positività attiri positività, spero ci entri presto anche qualcun altro. Famo a capisse. 
  4. Pazientare: ecco, quando Dio distribuiva la pazienza io stavo tirando calci e pugni agli altri che erano in coda perchè ci stavamo mettendo troppo. Sono una cazzo di Ariete, e il talento dell'attesa proprio non lo possiedo. Però ci sto lavorando sopra. Quando le persone mi dicono "Ogni cosa a suo tempo", io solitamente fremo dalla voglia di creparli di mazzate. Poi però mi dico anche che forse è vero. Forse c'è un tempo giusto per tutto. Sono anche un po' una naturalista, io. E mi dico: la natura ci spiega perchè bisogna aspettare...bisogna aspettare nove mesi perchè nasca un bimbo con tutte le cose che un bimbo deve avere, bisogna aspettare che la frutta sia matura perchè possa essere buona da mangiare. Insomma, se aspetti un po' ti annoi, sei frustrato, cambi idea cento volte, ma quel che importa è che alla fine lo cose saranno perfette. Perfette magari no, ma come devono essere. 
  5. Metterci del nostro: se vi fermaste al punto 4 potreste pensare che la passività e il semplice scorrere del tempo ci faranno un giorno essere felici. Eh, nel Regno dei Cieli forse. Ma siccome io non ci credo nel regno dei cielo e sono sicura da morta sarò solo un mucchietto d'ossa (non so nemmeno più se ci siano le ossa, visto che da tempo il lardo ha preso il sopravvento) e un bel ricordo nel cuore di qualcuno, penso che invece dobbiamo proprio darci dentro nella vita. Quindi dobbiamo impegnarci, buttarci, fare cose, vedere gente, senza paura. E amarci un po', e fare dunque le cose che di fanno stare bene.  Eh lo so, è un po' banalotto come discorso. Però cazzo, se io mi diverto a fare le conserve, piuttosto che a stare svaccata in un prato tutto il pomeriggio a guardare le nuvole che passano, o che mi piaccia ballare o salutare tutti dal finestrino della macchina, ma chi sono gli altri per venirmi a dire che sbaglio, che perdo tempo, che spendo soldi inutili o che mi sto facendo una figura di merda? Eh, chi sono? SANO egoismo is the way. 
Vi ho illuminati un pochino? No. Allora fatevi un bel bagno caldo e buttate il phon acceso nella vasca. Ciao. 



domenica 12 agosto 2012

Autobiografia


Era l'ora del tè di un giorno di primavera. La gente aveva appena finito di scherzare per i Pesci d’Aprile ed era tornata seria perché stavo per nascere. Mi sono presentata al mondo di faccia; posizione insolita per un feto. Devo aver pensato che se proprio dovevo vivere, allora tanto valeva non nascondersi. Non sono stata "sfagiolata", ma "asportata" dal corpo di mia madre come una brutta malattia. Questa cosa un po' mi rode: forse è per questo che sono nata senza fiato e poi non ho quasi mai pianto.

Ho iniziato a disegnare molto prima di imparare di parlare. Papà era preoccupato per il mio mutismo; a mamma tutto sommato invece andava bene così, perché aveva comunque un'ottima arma di ricatto contro i capricci: mi minacciava di rubarmi i pastelli e io diventavo molto obbediente.

Sapevo camminare già da tempo, dal mio primo Natale, ma prendevo sempre la strada sbagliata: a volte scappavo con la gente che incontravo per strada e non mi facevo più trovare; spesso cadevo, in particolare quando non venivo guardata. 

La prima frase intera che ho pronunciato è stata: "Non voglio mai più che tu venga a casa mia!". La dissi a mio zio che aveva "rubato" la palla a mia cugina. Una negazione, un avverbio di tempo dai tratti estremisti, un verbo ben coniugato, un’azione di protesta e difesa di qualcuno. Una sola frase, ma di me si poteva già capire tutto. 

La mia infanzia l'ho trascorsa a disegnare. Ricordo poco altro: i colori, la bicicletta, l'hula-hoop, i libri, gli insetti, la campana del vetro in piazza. Il primo disegno che ricordo è un cielo stellato. Un altro è un uovo dentro la pancia di mamma. Poi mi ricordo la Panda bianca, le gite della domenica, le canzoni di Bob Dylan, Tracy Chapman, DeAndrè e Battisti.

Ricordo il primo incubo, che mi ha perseguitata per anni: una vecchia cattiva con il braccialetto di mia mamma. E poi ricordo il secondo incubo: papà non risponde al telefono perché è morto.

Mi ricordo che la notizia che sarei diventata sorella maggiore mi fu data mentre mangiavo l'insalata di riso a bordo piscina in un pomeriggio d'estate. Aveva un gusto strano quell'insalata. E anche quella notizia.

Il primo trauma è stato il trasloco dal paese alla città. Avevo visto 40 bambini in tutta la mia vita e poi in un giorno solo ne ho visti 30 tutti insieme. E non ne conoscevo neanche uno. E poi le suore. Mamma e papà, per non avermi tra i piedi durante il trasloco, mi avevano mandata dalle suore. Non potevo stare con la mia famiglia, dovevo stare nella famiglia del Signore. Sì, ma non era la mia!

Delle medie ricordo la noia, il primo colore cambiato ai capelli, il primo bacio, le cose fatte di nascosto. Le prime angoscianti, terrificanti, inquietanti mestruazioni, arrivate mentre facevo i compiti di geografia. E ricordo quaderni interi riempiti di disegni. Disegnavo in particolare donne: quello in cui avrei voluto trasformarmi. Erano bellissime, procaci, avevano gambe lunghissime, seni sodi e capelli fluenti. A me non è andata proprio così.

Da lì in poi ho potuto fare affidamento solo più sul mio cervello e il mio cuore. Il fisico non ha più risposto. Mangiavo pochissimo e ingrassavo a dismisura. Sono iniziate le diete, le dita in gola, le abbuffate notturne,  le notti in ospedale, gli sguardi arrabbiati con mamma. Forse è qui che ho ricominciato a nascondermi, a non essere più sicura di quello che dicevo, a pensare che avrei voluto essere ancora come quella bambina che per prima cosa aveva fatto vedere a tutti la sua faccia e in seguito aveva sputato una sentenza.

E’ arrivato il momento del liceo e ho sbagliato strada. Del resto io ho imparato a disegnare come prima cosa, non a parlare. Perché allora studiare quattro lingue e non imparare invece i nomi di tutti quelli che avevano disegnato prima di me? Io sentivo quello che la voce dentro mi diceva. Erano quelli fuori di me che non riuscivano a sentirla.

Ogni anno un crollo emotivo. L’arte mi perseguitava, io ero in perenne dubbio se seguirla o ascoltare i genitori.

Poi sono arrivate le cose brutte e dell’arte non me ne è più importato nulla. In inverno è arrivata una notizia assurda, spaventosa, inaspettata e tremenda. Insieme a lei sono arrivati i segreti, le urla, la rabbia, la solitudine, la testa a penzoloni dal balcone. E poi, lentamente, era di nuovo un giorno di primavera. Il primo. Ma non si poteva gioire di quei fiori che stavano nascendo, né di quel sole che iniziava a scaldare i nostri cappotti neri mentre guardavamo una bara attraverso grandi occhiali scuri. 

A questo punto c’è di nuovo un tratto nero, in quel disegno lungo ventisei pagine che è la mia vita. E’ nero, come la stanza con le persiane chiuse in cui ho vissuto per un mese. E’ nero, come quella palla malata che stava nella mia pancia e di cui non riuscivo a dimenticarmi. E’ nero, come il sentimento che sto provando mentre schiaccio i tasti del pc. E’ nero, come le mie pupille ingigantite dal pianto ora e allora. E’ nero come il buco in cui infilavo le persone che non volevo intorno e in cui ero scivolata mio malgrado. E' nero come il vuoto. E’ nero come la poltrona nello studio della dottoressa vista ogni settimana per tre anni. 

Non riesco a ricordare quando ho ricominciato ad usare i colori, quando sul foglio ormai interamente scarabocchiato di nero sono comparse delle macchioline rosse, verdi, gialle. So che erano rosse, verdi, gialle, ma non so quando sono arrivate. So che erano piccole e sono arrivate un po’ alla volta. Tratti neri e tratti colorati mischiati nel foglio successivo.

E’ stato allora che sono diventata grande. Da lì in poi nella mia testa ci sono cose adulte: c’è la macchina, c’è la musica impegnata, ci sono letture di un certo livello, c’è lo studio nove ore al giorno, ci sono tre case, ci sono io da sola, ci sono io in compagnia, ci sono mamma e papà che diventano altro da me, c’è la laurea, ci sono scelte da grande, ci sono tante visite mediche inconcludenti, c’è il lavoro, c’è l’amicizia che sei certa che sia vera e poi non è, ci sono tantissimi amori che appena finiscono dici “non sono mai stata innamorata”.

E adesso cosa c’è? Adesso c’è che ieri riflettevo sul fatto che la “voglia” di disegnare non esce più da un bel po’ di tempo. Si è forse trasformata in voglia di scrivere? O in voglia di lavorare? Potrebbe anche essersi trasformata in voglia di cucinare e fare delle cose belle per soddisfare gli occhi e la pancia delle persone. In fondo l’arte, così come la cucina, riempie gli occhi e la pancia. Emozioni e cibo sono la stessa cosa. E ho evidentemente un rapporto estremamente complesso con entrambi. C’è voglia di cose belle, c’è voglia di cose vere. C’è voglia di stare bene.

sabato 11 agosto 2012

Cinquanta sfumature di SFIGA


Dieci cose che mi sono successe, ma non posso credere che mi siano successe, però mi sono successe:

1)      Al numero uno, senza dubbio, un episodio della mia vita che raramente ho raccontato a qualcuno. Una specie di apoteosi della sfiga. Credo che nessuno mai potrà battermi. Un po’ di tempo fa, non ricordo bene l’anno esatto, era in corso una cena in casa mia. La casa era piena di ospiti, ci si stava divertendo. Ad un certo punto sento l’esigenza impellente di recarmi alla toilette. Mi chiudo a chiave, accomodo le mie possenti chiappe sulla tazza di ceramica, inizio a… insomma… stavo facendo la cacca (e anche questo argomento l’abbiamo sdoganato!). Ad un certo punto sento tutto tremare. Sento gli ospiti che urlano ed escono di casa. Ebbene sì, era in corso un terremoto. Una bella scossa violenta. Morale della favola: con le mutande alle caviglie, cado dal water genuflessa tipo “mi è apparsa la Madonna” e mi sbuccio le ginocchia. Inutile dirvi com’è finita la serata: una volta passato lo spavento per il terremoto, ho dovuto raccontare agli ospiti la mia disavventura, suscitando l’ilarità generale.

2)      Sono stata chiamata per un lavoro full-time a tempo indeterminato durante la settimana di Ferragosto, avendo mandato un solo curriculum. Questa è l’apoteosi della fortuna, peccato solo non averlo poi ottenuto, dopo 4 strazianti colloqui in piena estate, col pantalone lungo, i tacchi, e la camicia che sudavo dagli occhi solo a guardarla. Peraltro pochi giorni fa mi è ri-successa la stessa cosa. Della serie “non è vero che i fulmini non cadono mai due volte nello stesso punto”.

3)      Una volta ho segato da scuola per seguire il ragazzo che mi piaceva. Facevo forse prima liceo, ero brutta come il culo di un babbuino, con le sopracciglia depilatissime, il trucco pesante e la panza che strabordava dai jeans. Ero molto innamorata di un tamarro di periferia che, manco a dirlo, non era nemmeno a conoscenza del mio essere al mondo.  Beh, quel giorno avevo deciso di scendere dall’autobus alla sua fermata e seguirlo per vedere dove andava. Ad un certo punto lo perdo di vista e inizio a correre, in mezzo alla gente, perché stavo attraversando un mercato, mi inciampo e cado rovinosamente sui cubetti di porfido del centro. Di faccia, chevvelodicoaffare. Tiro su la testa, e in mezzo alla folla che se la rideva, mi trovo davanti il mio amato tamarro. Mi aveva vista ed era venuto a tirarmi su. Con il sangue che colava dal naso l’ho salutato calorosamente. Inutile dirvi che non l’ho mai più visto, se non ogni tanto per strada sfrecciare con la sua macchina con i neon montati sopra tipo navicella aliena. Inutile dirvi anche che sono arrivata a casa col setto nasale deviato e ho dovuto spiegare tutto ai miei genitori.

4)      Ho scritto una poesia per un commesso di un supermercato di cui mi ero invaghita e che sapevo che stava per cambiare lavoro. Avrà avuto qualche anno in più di me, era biondino e carino. Avevo già almeno diciott’anni e nonostante fossi già una giovane intellettuale sinistroide,  gli ho scritto una poesia che faceva tipo “Caro commessino, come farò al mattino, senza di te che mi porgi lo sfilatino?”. Non sto a dirvi le altre rime che sennò andiamo sul piccante. Gliel’ho fatta consegnare da una collega e nella busta ci ho messo il numero di telefono. Deve aver pensato che avessi dei problemi psichiatrici gravi e ovviamente non sono mai stata chiamata. Comunque questa non è una cosa che mi è successa, me la sono cercata.

5)      Luglio. Trentasette gradi Celsius. Grado di umidità: millemila unità (?!?). Sono a casa in mutande e reggiseno a mangiare ghiaccioli davanti al ventilatore. Deve passare da casa mia zia a prendere un libro. Suona il campanello. Mi reco alla porta con il libro già in mano, rimanendo in biancheria intima che tanto insomma, mia zia m’ha vista nascere. Apro. Invece era il corriere che portava un pacco. Mi squadra con gli occhi un po’ sgranati e tutto ciò che riesco a dire è: “Cazzo! Scusi l’abbigliamento!” e lui “Si figuri, signorina, fa caldo!”. Bella figura di merda. E anche bella prima scena per la sceneggiatura di un porno banalissimo da inserire nella sezione BBW.

6)      Da piccola tutto ciò che desideravo era una salopette. Lo so, un capo d’abbigliamento inutile, ma tutti i bambini ne avevano una e io no. Così un giorno lagno mezz’ora e mia madre decide che è arrivato il momento: “andiamo a comprare questa cazzo di salopette!”. Arriviamo al mercato, la trovo, la provo, mi piace. Tanto da non volerla togliere nel tragitto fino a casa. Saltello felice nella mia salopette di jeans e ad un certo punto mi inciampo. Cado genuflessa (non so perché cado sempre in ginocchio, è una specie di regola per me, come i gatti che cadono sui loro…gommini…o come si chiamano) e la salopette si squarcia su entrambe le ginocchia. Mi è successa anche una cosa simile la prima volta che ho rotto i coglioni a mia mamma per poter uscire in minigonna e tacchi (una volta ero magra). Ero poco più che una bambina, ma avevo voglia di sembrare più grande. Una volta ottenuto il permesso, appena uscita di casa, sono caduta. “Toh guarda! Una mignotta ferita sul ciglio della strada”, devono aver pensato i passanti.

7)      Sono stata fermata dai carabinieri tornando a casa da una serata di sole donne, l’8 marzo. Ero casualmente sobria, in quanto un mal di testa epocale mi aveva colpita e avendo preso un tot d aspirine non avevo potuto brindare alle mestruazioni insieme alle mie amiche (forse per questo riesco a ricordare che avevamo brindato “Alle mestruazioni!” in tutte le lingue in cui sapevamo dire “mestruazioni”). Comunque, loro invece erano ubriachissime. Sul sedile dietro, una vomitava, l’altra dormiva e davanti insieme a me (che ero alla guida) ne avevo una a cui era presa la ciucca allegra e non smetteva di dire cazzate. Quando ci hanno fermato i carabinieri lei è scesa, ha fatto vedere le cosce al carabiniere e ci hanno lasciate andare.

8)      Quando ero piccola mia nonna mi obbligava ad andare a messa con lei. Io ero già una piccola bestia di Satana, ma molto rispettosa degli anziani, quindi la seguivo, portandomi però dietro le statuine dei Puffi o le Barbie per giocare sotto il banco (si chiamano banchi, no, le panchine della Chiesa?) perché di preghiere e prediche proprio non me ne poteva importare di meno. Una volta devo aver mimato uno strano episodio tra un Puffo e una Barbie e mi sono messa a ridere fortissimo, non riuscivo proprio più a smettere. Avevo le lacrime, non respiravo più e facevo il classico “risucchio” per cercare di prendere fiato. Il prete si è inviperito e mi ha cacciata dalla sua Chiesa. Era l’anno in cui avrei dovuto (e sottolineo dovuto) fare la Prima Comunione e mia nonna, strigliandomi sulla strada di casa, si era messa a piangere pensando che il Don non me l’avrebbe più fatta fare. Quanti dispiaceri ho arrecato alla mia catto-famiglia!

9)      Un altro bell’episodio, che riguarda la mia breve ma intensa vita cattolica, fu la confessione prima della Comunione (la nonna aveva convinto il Don a lasciarmela fare!). La prima confessione ufficiale. Ci spiegano il concetto di peccato, ci dicono che dobbiamo ripulirci l’anima, ecc…Io avevo otto anni. Che cazzo di peccati potevo aver commesso? Qualche toccatina? Qualche imprecazione? Boh, forse, non mi ricordo. Fatto sta che mi ricordo esattamente il peccato che confessai al prete: gli dissi di sentirmi molto in colpa per aver starnutito mentre bevevo il caffelatte ed essermelo fatto uscire dal naso sporcando tutto il tavolo. Ero una bambina molto fantasiosa.

10)   Riassumo in questo ultimo punto tutte le cose della mia vita che ho fatto e cerco quotidianamente di rimuovere dalla mia memoria: un corso di clownerie;  un corso di pittura su ceramica; due anni di canto lirico; spettacoli teatrali imbarazzanti in cui ero truccata come una battona di fronte a un teatro pieno; andare a giocare a ping pong con gli sfigati della scuola al pomeriggio;  un corso di latino (la lingua, non il ballo) il sabato pomeriggio alle medie per prepararmi psicologicamente alla dura vita del liceo (ho sempre avuto una mamma molto premurosa);  due dichiarazioni d’amore molto particolari, di cui una di notte in mezzo alla neve, con venti gradi sotto zero, finita ammmerda perché l’uomo in questione mi ha detto che mi voleva bene come a una sorella e l’altra finita con un mezzo stupro in una biblioteca, perché il mio compagno di studio di cui mi ero invaghita evidentemente non aspettava altro; ce ne sono sicuramente altre, ma dopo aver rimembrato tutte queste belle cose mi si è inceppato il cervello.



P.S. La prima frase è spudoratamente copiata http://www.ibs.it/code/9788887433364/morozzi-gianluca/dieci-cose-che.html. Gianluca Morozzi, se dovessi casualmente capitare su questo blog, sappi che ti amo. 



martedì 7 agosto 2012

Real Time: una TV un perchè. Già, perchè?

Il digitale terrestre! Ah, che magnifica quanto inutile invenzione! 

Tra l'infanzia e l'adolescenza ho avuto un periodo di forte dipendenza dalla TV. Prima i cartoni, poi Non è la Rai, poi la serie infinita di telefilm anni Novanta. Beverly Hills (io dormivo con la maglietta di Dylan, se non ce l'avevo non dormivo), Bayside School, fino ad arrivare al più moderno Dawson's Creek. Poi la carenza di proposte di interessanti da parte dei palinsesti televisivi e l'avvento di Internet hanno fatto sì che mi allontanassi molto dalla TV. Non parliamo dell'ADSL flat e Facebook. Proprio la TV poteva bruciare. 

Ma da quando è arrivato il digitale terrestre, e con lui nuovi canali, ho una nuova dipendenza: Real Time. Lo so, fa cagare a spruzzo. Ma cosa volete che vi dica? E' dai tempi di Beverly Hills e Baywatch che coltivo il mio gusto per il trash. Ho anche visto un paio di film di Nino d'Angelo. 

Comunque, ciò di cui vi voglio parlare oggi è proprio il palinsesto di Real Time. Una varietà di cazzate che non si vedeva in TV da tempo immemore. Credo che nemmeno i canali Mediaset siano arrivati a trasmettere un simile numero di programmi così stupidi in loop, senza intervallarli nemmeno con un TG, per quanto farlocco. 

Partiamo dai programmi più di moda, quelli che tutti conoscono, anche i non RealTime-addicted

  • Ma come ti vesti?: sarebbe scontato dire "ma come minchia vi vestite voi, invece?". Non facciamo i banali, dunque. Parliamo piuttosto del dramma interiore di Carla Gozzi, donna dall'età assolutamente indefinibile, che non è più in grado di spiccicare una parola in italiano, tanti sono i termini tecnici anglofoni e francofoni della moda che ha dovuto imparare per rendersi più furba agli occhi degli altri; "con questo autfit sei davvero fescion, glemur e assolutamente cul. Quella beg color pinc sta da dio, spezza il tuo luc total blec e questo necleis iellou si intona che è una meraviglia". Ah, Carla, ma che cazzo stai a dì? E parla come mangi, no? Ah già, non mangi. Pesi 32 chili. Farai come la Parodi tu, che puccia il dito, lo lecca, dice "Cotto e mangiato!" e bon, è sazia. E a tenere compagnia a Carla c'è il buon Enzo Miccio. Un uomo che ha fatto dell'eleganza (!?!) e della gaiezza i suoi cavalli di battaglia. Si veste di merda,  ha un fisico da palo della luce, ma è tanto contento lui. Ha sempre gli occhi sognanti che hanno le spose il giorno del matrimonio. E' senza dubbio gay(issimo) ma ama le donne più di sè stesso (no vabbè, più di sè stesso no). Non è mai triste, non  ha mai il morale sotto le scarpe (di Prada, ovviamente). Un po' voglio bene ad Enzo.
  • Paint your life: Barbara ama il riciclo, il riuso, le cose fatte a mano, il dar nuova vita agli oggetti. E' una creativa, lei. E' un po' una Giovanni Muciaccia al femminile. Purtroppo però deve esserle sfuggita di mano la situazione. Oltre a dipingere le pareti di colori e fantasie improponibili, tiene cose inutili nella speranza di avere un'idea geniale per riciclarle, raccoglie cose chiaramente irrecuperabili in discarica e realizza cose ancora più inutili dell'oggetto di partenza. Di solito la vanno a trovare amiche creative come lei, che fanno gioielli importabili (forse solo Rita dalla Chiesa li metterebbe, lei si appenderebbe anche i lampadari alle orecchie, se potesse). Queste amiche sono tutte acide come lo yogurt greco, non ce n'è una che trombi abbastanza. Si circonda altresì di florist rigorosamente omosessuali (su cui però fa dei pensieri impuri) che mettono una canna di bambù in un vaso e la chiamano "composizione verticalizzata di sto cazzo per dare un tono all'ambiente". 
  • Cucina con Ale: qua deluderò molte lettrici, me lo sento. Alessandro Borghese piace molto alle donne. Guardate, anch'io lo trovo un ragazzo belloccio. Se sta fermo. E zitto. Odio la sua parlata: "alle diesci e diesci vi aspetto in cuscina per mettere un po' di mentuscia fresca su ogni cazzo di piatto di merda che farò!". Odio come si muove in cucina: fa pasticcio, sporca dappertutto, non ha stile, oltre al fatto che suda e ansima sui fornelli come se stesse correndo una maratona. Poi diciamocelo, Alessandro Borghese sta alla cucina come io sto alla fisica quantistica. Cioè 'nsomma non ne capisce una mazza chiodata. E poi fa il figo che ne sa di musica, mettendo una canzone un po' rock a fine programma. Metti la testa in forno e dai gas, Borghese. 
  • Il Boss delle Torte: sarà che l'unica serie TV con cui mi sono infognata in vita mia è stata I Soprano, ma io a Buddy voglio bene assai. Gli italo-americani mi piacciono, mi fanno ridere, mi fanno piangere, mi aiutano a coltivare la mia passione per il trash. Poi lui fa i dolci, e io sono pazza per i dolci. Sì, lui li fa di legno e poi li ricopre di glassa, ma fa lo stesso. Bravo Buddy. Solo una cosa: pigliati un po' di Lexotan ogni tanto, che sei un pelino nervoso.
  • Clio Make Up:  "Cara Clio, vorrei un make up sobrio ed elegante per andare ad un vernissage d'arte moderna. Mi piacerebbe non essere però banale, insomma, vorrei che mi notassero". Hey amica, l'hai detto tu, eh! Mò non lamentarti se Clio ti trucca con le sue palette multicolor, i suoi blush, i suoi gloss e tutt'e cos' e tu sei pronta per un bel giretto in tangenziale. Lo sapevi già che andava a finire così. 
  • Cucine da incubo: Gordon Ramsay è una sorta di Dio in terra della cucina. Ha scritto mille libri, condotto mille programmi, ha un videogioco che parla di lui, ha 12 stelle Michelin, non so quanti ristoranti, è perfino stato insignito dell'onoreficenza di Ufficiale dell'Ordine dell'Impero Britannico. Così, a caso. La cosa che mi sta proprio in culo di lui è la sua avversione per i vegetariani, mentre come ben sapete io sono un'attivista, ma pazienza; Gordon resta un uomo da stimare anche solo per il fatto che dice più "fucking" lui in una frase di quanti "capra" riesca a dire Sgarbi in una vita intera. 
In ultimo, anche se ci sarebbero ancora mille cose da dire (tipo sui capelli di Paola Marella, sui budget di quelli che cercano casa "non è molto alto, solo tre milioni di euro", tipo di quella psichiatrica che viene a guardarti sotto il tappeto se c'hai la polvere a Cortesie per gli ospiti, tipo sui rintronati che si sposano a Villastocazzo di Roccaminchiona e chiamano i Wedding Planners...) parliamo di qualche format forse un po' meno conosciuto ai più, ma che i veri seguaci di Real Time sicuramente non avranno potuto fare a meno di vedere: 

  • Non sapevo di essere incinta: No, ma amica, spiegami, come potevi non saperlo? Hai avuto un rapporto non protetto nove mesi fa, da nove mesi non hai il ciclo, hai vomitato l'anima sei mesi fa, hai preso otto chili...possibile che non ti sia passato per l'anticamera del cervello il pensiero di essere stata ingravidata? No, hai dovuto aspettare di sfagiolare un bambino nella vasca mentre ti facevi un bagno caldo perchè avevi i crampi alla pancia di notte. Ah beh. 
  • Sepolti in casa: Se non avete mai visto questo programma, vi prego, non guardatelo. E' la cosa più assurda ed inquietante che una mente umana potesse partorire. Secondo me Tarantino potrebbe impallidire (più di quanto non sia già pallido) di fronte allo schifo di questo format. Praticamente ci sono questi tizi assurdi che soffrono di una malattia psichiatrica chiamata "accumulo compulsivo". Tengono la munnizza fino a riempire la casa, non lavano mai, arrivano a vivere circondati da ragni, scarafaggi, merde di topo e batteri grossi come quel mio amico che fa body building. Robe raccapriccianti. E i parenti che dicono "Eh, ma se gli buttiamo via le cose si arrabbia!". Ma che problemi avete? Mandate in vacanza il mentecatto e bruciategli la casa, per favore! 
  • Sos genitori: va beh, chevvelodicoaffare. Ci sono dei bambini simpatici come uno stuzzicadenti nel culo (di traverso) e teneri come Godzilla con dei genitori idioti. Arriva una tata il cui nome ricorda vagamente un prodotto surgelato (Jo Frost, N.d.A.) e li mette tutti in riga.
  • Abito da sposa cercasi: siamo all'apoteosi della stupidità femminile e del non sapere più che cazzo trasmettere in televisione. Un programma su delle ragazze che si devono sposare e cercano il loro abito dei sogni, che normalmente costa una cifra esagerata e loro piangono finchè qualche parente ricco non glielo compra. Oppure si indebitano per comprarselo. Secondo me qualcuna da anche via il culo. Adesso fanno anche la versione XXL per le spose obese. Idiote come quelle magre, ma con in più il problema dei chili di troppo. Emminchia, ce le hai proprio tutte!
  • Pazzi per la spesa: questa per me è una scoperta recente. Il programma parla di alcune persone che secondo me erano a un passo dal suicidio tanto la loro vita era triste, e a cui i coupon hanno ridato la gioia di vivere. Raccolgono migliaia di buoni sconto, fanno una spesa allucinante con tipo otto carrelli e  praticamente non la pagano. Cosa se ne facciano poi di 400 rotoli di carta igienica (vabè, tanto uno cagare caga, si spera fino alla fine dei suoi giorni), 5000 pacchetti di gomme (vabè, tanto uno masticare mastica, soprattutto se ha l'alitosi), 250 vasetti di pummarola (vabè, facciamo tanto tanto sugo), insomma, lo sanno solo loro. Ma belli che sono, tutti felici della loro inutile spesa, con le cantine piene di scaffali ingolfati di cibi in scatola che venisse mai una guerra o una crisi mondiale loro ne hanno per tutto il quartiere. 
Va bene, va, la finisco qua che direi che vi ho ammorbato abbastanza. Vi è salita un pochino l'autostima, no?

lunedì 6 agosto 2012

Quarti d'ora che ti cambiano la vita

E' incredibile quante cose possano succedere in un quarto d'ora. Che è pochino, se ci pensi. Quindici minuti nell'arco di una vita sono veramente una roba irrisoria. Eppure.

"Quarti d'ora che ti cambiano la vita"...potrei farne un format per Real Time o il soggetto per un film di Maccio Capatonda.

In un quarto d'ora puoi diventare una celebrità, o sentirti tale (tra l'altro oggi sarebbe anche il compleanno di Andy Warhol). Molti di noi sono con ogni probabilità stati concepiti in un quarto d'ora, forse anche meno. Magari mamma aveva mal di testa da una settimana e papà era un po' in ansia. Se hai un colpo di fulmine magari in un quarto d'ora conosci la persona con cui qualche mese dopo prenderai casa e avrai un bambino. In un quarto d'ora una persona può decidere di farla finita e farla davvero finita. Le canzoni, dalla più tremenda alla più bella e struggente, durano meno di un quarto d'ora, questo significa che in un quarto d'ora non farai soltanto in tempo ad ascoltarla, ma anche a innamorartene, odiarla, piangere, ridere, farla sentire a qualcuno. La doccia che ti scaccia via i pensieri alla sera prima di andare a dormire, o quella che ti fa svegliare al mattino quando non hai dormito abbastanza, dura un quarto d'ora. In un quarto d'ora puoi riuscire a dire a qualcuno tutto quello pensi, se davvero hai deciso di farlo. Puoi prenotare una vacanza. Puoi bere un caffè e fumare una sigaretta (due piaceri della vita in un colpo solo). Magari anche fare la cacca. Gli atleti possono fare la gara della loro vita e vincere un oro alle Olimpiadi in un quarto d'ora (questa la metto solo per stare un po' sul pezzo). Questo post l'ho scritto in un quarto d'ora.

Comunque, io nell'ultimo quarto d'ora (quello antecedente la scrittura del post) ho rischiato almeno un paio di infarti, non vi dico il perchè, dal momento che sono un pochino scaramantica. Però magari un giorno mi trovate su Real Time o in un film di Maccio.


mercoledì 1 agosto 2012

Hipsteria

Eravamo 4 amici al bar. Bevevamo birra biologica di produttori locali e intanto fumavamo sigarette di tabacco senza additivi appena rollate a mano. Avevamo tutti e quattro la T-shirt dei Joy Division. Non una T-shirt dei Joy Division a caso, quella di Unknown Pleasures, ovviamente. Quella degli Smiths o di Morrisey da solo ce l'avevamo a casa nel terzo cassetto. Sopra la maglietta, un cardigan uguale uguale a quello che ci aveva fatto nonna da piccoli, ma comprato l'altro ieri in un negozio vintage. Oppure una camicia a quadretti. Tutti e quattro portavamo i baffi, chi arricciati in punta come Dalì, chi disordinati come se fossero cresciuti per caso (certamente tutti li portavamo radi; avevamo l'età in cui i uomini e donne hanno la stessa quantità di baffi). Indossavamo tutti e quattro pantaloni troppo stretti ed espadrillas senza marchio di fabbrica.Tutti quanti portavamo gli occhiali. Grandi, grandissimi, facevamo la gara a chi aveva l'occhiale più grande, come qualche anno prima, alle medie,  facevamo con il pisello. Portava gli occhiali anche chi ci vedeva benissimo. Piuttosto ci si metteva le lenti neutre, o li si portava finti. Molti avevano il cappello. Chi di paglia, chi un basco, qualcuno il borsalino per darsi un tono. Le ragazze avevano lacci che stringevano le tempie o chignon che sembravano stare lì sulla testa da almeno un paio di notti. Si andava spettinati. Andare dal barbiere sotto casa o da Jean Louis David in centro era troppo mainstream. Le ragazze avevano pantaloni a fiori senza forma, borse troppo grandi o troppo piccole per qualsiasi tipo di utilizzo. Qualsiasi capo d'abbigliamento mettessero era o troppo largo o troppo stretto. A parte qualche piccolo tratto distintivo, c'erano poche differenze tra uomini e donne. Non volevamo appartenere a niente. Nessuna politica, nessuna religione, nessun genere predefinito, l'orientamento sessuale incerto o variabile, come il tempo a giugno. Solo nell'arte volevamo distinguerci. La musica che ascoltavamo noi non doveva per nessun motivo essere passata in radio, altrimenti diventava alla portata di tutti. Di qualsiasi gruppo musicale si parlasse, se conosciuto ai più, dovevamo dire "è troppo sottovalutato" o "è decisamente sopravvalutato". Qualsiasi gruppo ci nominassero, dovevamo dire "io lo seguo dagli esordi", altrimenti non valeva. Non importava davvero che avesse un senso quel che stavamo dicendo, bastava sfoggiare una cultura musicale inesistente e far colpo sull'interlocutore. La letteratura che piaceva a noi doveva essere disprezzata dalla maggior parte dei lettori, altrimenti non avremmo saputo nulla di nuovo. I libri dovevano contenere frasi incomprensibili formate buttando parole e concetti a caso, e noi dovevamo dire che in quella frase lì ci vedevamo l'essenza della vita. Le foto che facevamo noi, sempre con un filtro diverso, dovevano comunicare angoscia e disorientamento a chi le vedeva. Le foto più felici e colorate potevano al limite comunicare malinconia. Per quanto riguarda il cinema, solo mattoni polacchi o documentari iraniani erano degni della nostra attenzione. Volevamo essere diversi, invece eravamo tutti uguali. Ci impegnavamo al massimo per sembrare hipster, ma il vero hipster non deve sapere di esserlo, quindi facevamo finta che non ce ne fregasse nulla. Avevamo le facce disilluse e l'aria vagamente bohémien, anche se eravamo quasi tutti figli di papà. Qualche anno prima giravamo su scooter modificati, ma poi avevamo addirittura rifiutato l'automobile pur di avere una bicicletta sgangherata con cui andare in giro. Gli oggetti "di lusso" che ci potevamo, anzi, dovevamo, permettere, erano lo smartphone e le vacanze a Londra o a Berlino. Beh, anche i nostri vestiti costavano un sacco di soldi, ma dovevamo far finta che ce li avessero tirati dietro al mercato del sabato. Eravamo giovani, eravamo stupidi, o forse dei geni: avevamo mischiato i pezzi peggiori della moda dei vent'anni precedenti e ne avevamo fatto uno stile, una cultura. Se qualcuno solo un paio d'anni prima si fosse vestito come noi e avesse avuto le nostre passioni, lo avremmo sfottuto in eterno. Era il duemiladodici e avevamo diciotto anni.

Se vuoi bene a un amico sbucciagli il Fico



Che sono una mangiapreti ormai lo sapete già. Non che io voglia accanirmi, ma il clero e i suoi rappresentanti mi danno ogni giorno la conferma che qualcosa nel mondo sta andando nel verso sbagliato. La neverending story Fico- Balotelli stava per finire nel dimenticatoio, ma oggi la Chiesa si è espressa. 

Ricapitoliamo un attimo i passaggi (per i due o tre sbadati che non hanno capito come sono andate le cose). 

Chi è Raffaella Fico? Forse vi ricorderete di lei per la partecipazione al Grande Fratello, in cui sfoggiò una collezione di micro-mutandine appena più sottili del filo interdentale. Oppure potreste ricordarvi di lei per aver fatto da valletta a quello scemo di guerra di Enrico Papi vestita da miciona ammiccante. Oppure ancora per aver sbandierato al mondo il fatto di essere ancora vergine (se vabbè, dai buchi del naso, forse) e aver quasi accettato di essere deflorata da uno sceicco in cambio di un milione di euro. 'Na brava ragazza, insomma. 

Chi è Balotelli? Forse vi ricorderete di lui per alcune imprese calcistiche, forse per aver sfoggiato più pettinature di Jon Bon Jovi, oppure ancora per qualche sbronza, rissa, o mignotta famosa a cui s'è accompagnato in qualche serata piccante. 

I due hanno avuto una relazione. Le relazioni tra calciatori e showgirl normalmente durano il tempo di un raffreddore. E 'nfatti, non che loro siano durati molto di più. Comunque succede che dopo quelle 4 mine che ci siamo presi dalla Spagna alla finale degli Europei, la buona Raffaella se ne esce con il notizione: "Mario, aspetto un figlio da te!".

Guarda te a volte la sfiga, questa era vergine, e trac! ci rimane subito. Toccata e bruciata, eh, povera Raffaella. E Marione, che dire di lui? Pochi giorni prima era stato visto per strada con la sua nuova fiamma. Passeggiavano tranquilli, mano nella mano, in tuta, e ad un certo punto lui, senza cambiare minimamente espressione, prende con la mano la testa della gentil consorte e gliela spinge all'altezza del proprio ambaradan, simulando una fellatio. Che signore! Forse era amore vero!

Comunque, fu così che iniziò la bagarre:
Lei dice: "Gliel'ho comunicato ed era così felice che ha fatto due gol!"
Lui dice: "I gol li ho fatti per mia mamma e se la notizia sarà vera eventualmente mi prenderò le mie responsabilità. Facciamo il test del DNA"
Lei dice: "Mario mi ama ancora. Va bene facciamo il test, no, non facciamolo. mah sì, va, anzi no, dai." 
La schizofrenia è una brutta bestia. Ma la stupidità è peggio.

Poi i giornali e le Tv si sono evidentemente sfrangiati la minchia di parlare di argomenti di codesto spessore (anche perchè nel frattempo è scoppiato il gran caldo e c'erano i servizi su tette e culi e cafonerie da spiaggia che aspettavano di essere tirati fuori) e insomma, pareva che di questi due personaggioni e della creatura in arrivo nessuno si interessasse più. 

Poi poche ore fa arriva un'altra news di altissimo livello: la Fico si è recata in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. E lì ha incontrato un prete, tal Don Carlo Laborde, che ha voluto dire anche lui la sua sulla gravidanza della bella partenopea. Riporto le parole che sono apparse su Chi: “La legge di Dio non cambia, anche nel 2012. Padre Pio avrebbe rimproverato Raffaella e Mario per aver avuto rapporti prima del matrimonio. Poi però li avrebbe rassicurati, ma tirando le orecchie a lui e dicendogli di sposare Raffaella e diventare padre del bimbo che aspetta [...] Padre Pio rimetteva in carreggiata chi aveva sbagliato (ma poi questi doveva intraprendere un cammino di conversione) e ha cambiato la vita di tanti personaggi famosi che chiedevano di incontrarlo e avevano bisogno di un aiuto vero [...] Chiedere le grazie è un primo passo per avvicinarsi a Gesù”.

Non so, devo aggiungere altro? Ah, Don Carlo, ma che cazzo stai a dì? 







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